danza

Le danze indiane e il Bharatanatyam, una storia millenaria

La danza è una sequenza ritmica nata dallo spazio e dal tempo, elementi essenziali di questo mondo della manifestazione. La danza è dunque espressione massima del processo di creazione universale.

Natya Veda
Shiva Nataraja, statua in bronzo conservata al Museo Guimet di Parigi.
Foto di Daria Mascotto.

LA DANZA E L’INDIA: ALCUNE COORDINATE FONDAMENTALI

La danza è una manifestazione talvolta spontanea talvolta organizzata del corpo umano, praticata dall’umanità sin dai tempi più remoti. La tendenza a modificare l’uso ordinario e funzionale del proprio movimento è impiegata nei giochi dei bambini, nel divertimento degli adulti e nelle ritualità sacre e profane di tutto il mondo.

Gli uomini danzano per raccontare storie, creare senso di comunità, comprendere e imitare la natura e le forze divine, scaricare le tensioni, corteggiarsi, o semplicemente intrattenersi. Esistono tante ragioni del danzare quanti modi e stili differenti, ciascuno con il suo specifico vocabolario coreutico. 

La danza, pur essendo esperienza universale, non può essere considerata un linguaggio naturale immutabile: è più corretto parlare di danze, considerarle come arti vive, capaci di narrare passato, presente e di generare futuro. 

Malgrado tutte le impalcature rituali e metafisiche, il contesto indiano non fa eccezione ed il millenario desiderio della sua complessa e fiera società di fissare sé stessa e le sue arti in una perfetta eternità divina non ha potuto evitare mutamenti di interpretazioni e di stili.

I primi reperti giunti sino a noi della presenza della danza in India risalgono ad epoche davvero antiche: si tratta di dipinti mesolitici e neolitici ritrovati all’interno di grotte del Madhya Pradesh, raffiguranti scene di musica e danza. Statuette in bronzo e  in pietra appartenute alla civiltà di Mohenjo-Dharo confermano poi, a distanza di 4000 anni,  una continuità nella pratica della danza e della sua importanza rituale. 

Da allora in avanti, la sterminata produzione di dipinti, pitture e sculture dedicate all’arte coreutica non si è più fermata e l’India, ancora oggi, ci offre opere di splendida fattura e di profondo significato storico, artistico e spirituale. 

A testimonianza del fertile legame esistente tra la cultura indiana e la tiade danza-musica-parola, ancora oggi studiamo il più antico trattato conosciuto al mondo sulle arti sceniche e drammatiche: il Natyashastra, attribuito al saggio Bharata Muni, ma redatto nell’arco di secoli, tra il I ed il IV d. C. Questo importantissimo testo si è delineato nella storia come il paradigma dei più alti livelli teatrali della società indiana, andando a costituire la fondamenta del concetto stesso di danza classica.

Le danze dell’India odierna possono essere distinte in diverse categorie: danze tribali, intrecciate alla vita degli aborigeni; danze folk, legate alle festività sociali e religiose; le danze cinematografiche, conosciute come bollywood, derivate da un mix di danza classica, danze folk e contaminazioni pop occidentali; danze classiche, riformate e rielaborate nel XX secolo sulla base dei parametri indicati nel Natyashastra.

L’argomento è vasto e complesso ed ancora oggetto oggi di studi. Tuttavia è fondamentale comprendere che le danze classiche dell’India come le conosciamo oggi, pur facendo appello a un’origine tanto antica quando mitica, sono in realtà frutto di una “reinvenzione della tradizione” ad opera di alcuni esponenti della rinascita indipendentista nazionale di alto status sociale. Personaggi del calibro di Rabindranath Tagore, Rukmini Devi Arundale, Krishna Iyer, si sono spesi per riabilitare agli occhi dei propri stessi compatriotti gli aspetti artistici di una lunga tradizione coreutica che il dialogo culturale con la morale dei dominatori inglesi aveva condannato e degradato. A inizio Novecento la tradizione delle danzatrici templari era ormai tacciata di corruzione e lascivia e caduta in disgrazia. La nuova nobilitazione della danza fu operata soprattutto attraverso una purificazione del repertorio tradizionale dalle gestualità più sensuali ed erotiche, una separazione dell’arte performativa dall’ambito religioso e devozionale – dai templi ai teatri – , un’apertura della disciplina al sesso maschile e alle classi più elevate.

Attualmente gli stili classici di danza in India riconosciuti ufficialmente sono 8: Bharatanatyam, Kathak, Kathakali, Kuchipudi, Odissi, Manipuri, Mohiniyattam e Sattriya.

Rumini Devi Arundale, foto d’epoca.

IL BHARATANATYAM: LA RIFORMA DEL TEATRO-DANZA INDIANO

La danza nata nella terra del Tamil Nadu, all’estremo sud-est indiano, e conosciuta fino a metà Novecento come Sadir Nac o Dasi Attam, assunse la sua forma attuale nel XVIII secolo, durante il regno di Tulaja II (1763-1787), alla cui corte di Tanjore vissero ed operarono grandi musicisti e maestri di danza. Fra questi, Subharaya Oduvar con i suoi quattro figli: Ponniah, Chinnaiah, Sivanandam e Vadivelu, passati alla storia come il Tanjore Quartet. Furono loro a delinare il repertorio del Bharatanatyam così come lo conosciamo ancora oggi.

Il termine Bharatanatyam, così come la sua etimologia, nascerà nel XX secolo, in seguito al Madras Devadasis, Prevention of Dedication Act, nel 1947, come tentativo di una parte dell’élite culturale di Madras di di conferire alto status sociale al patrimonio coreutico nazionale svincolandolo dall’immagine e dalla tradizione delle fanciulle donate ed istruite al tempio al fine di servire la divinità, in particolare attraverso offerte di danza e musica.

L’acronimo Bha-ra-ta contiene in sé le tre componenti fondamentali dell’arte: BHAva (stato mentale), RAga (scala melodica) e TAla (ciclo ritmico), ma richiama anche il nome del leggendario autore del Natyashastra, Bharata Muni. Bharata è inoltre il termine con cui gli indiani chiamano l’India. Natya designa invece l’arte drammatica della danza, intesa non solo come movimenti astratti (nritta), né esclusivamente come arte mimica e narrativa (nritya) ma come fusione organica e inscindibile delle due. 

Balasaraswati, foto d’epoca.

Bharatanatyam può dunque indicare la danza creata da Bharata, originaria dell’India e al contempo il teatro-danza scaturito dall’unione di melodia, ritmo ed emozione espressa da una raffinata mimica e da un preciso linguaggio gestuale conforme ai paradigmi sanscriti, epurato da tutte le componenti apertamente erotiche e sensuali e adattato ai canonimorali di inizio XX secolo. 

Il contributo di Rukmini Devi e delle sue colleghe alla rifondazione della tradizione fu soprattutto la sistematizzazione di un metodo standard d’insegnamento, l’inserimento e l’elaborazione di gesti e passi basati sul Natyashastra e sui testi classici, così come di pose scultoree ispirate dai bassorilievi dei templi di epoca classica, nonché la fondazione della prima accademia per la diffusione dell’arte della danza e della musica al di fuori della trasmissione tradizionale, la scuola Kalakshetra di Madras.

Dedicarsi allo studio del Bharatanatyam richiede tempo, grande disciplina e dedizione. Come nello Yoga – del quale condivide molte basi filosofiche tanto da essersi guadagnato l’appellativo di Natya Yoga, lo Yoga della Danza – nella pratica sono coinvolti in egual misura corpo, mente e spirito. 

Attraverso l’esercizio ripetuto di sequenze via via più complesse di movimenti detti adavu – basati su una simmetria cinetica in cui i gesti si espandono verso l’esterno per ritornare a convergere al centro del corpo – si esercitano senso ritmico, equilibrio, memoria, coordinazione, concentrazione e fiducia. Si rafforza la struttura ossea e muscolare, si esplorano le sue linee, segmentazioni e possibilità di movimento. 

Il peso è sempre ben radicato e centrato, è di grande importanza il contatto con la terra e la relazione fra terra e cielo. Si danza a piedi nudi e la postura di base è detta aramandi, o più correttamente ardha-mandali, e corrisponde al demi-plié del balletto occidentale. 

Mediante il respiro e il suono si attivano processi immaginativi che liberano l’accesso al proprio mondo interiore, dove gli archetipi della mitologia induista possono trovare cassa di risonanza emotiva ed espressiva. Approfondendo il linguaggio simbolico delle mani, hasta-mudra, del viso, mukha-abhinaya, delle diverse posture, mandala, e di tutto il corpo in movimento, si esplora una poetica del gesto intrisa di infinite sfumature.

Dall’unione di tutti questi elementi scaturisce un linguaggio simbolico di forte impatto capace di condurre il danzatore e lo spettatore all’estasi conosciuta in India come rasa, stato mentale in cui il valore estetico diventa veicolo di crescita spirituale.

Nato come danza rituale, preghiera e meditazione in movimento, oggi il Bharatanatyam è un’arte scenica rappresentata nei teatri di tutto il mondo e annoverata fra le più antiche, profonde e raffinate discipline psico-corporee, capace di purificare e (ri)educare profondamente l’organismo.

Daria Mascotto in una invocazione danzata a Ganesh.